XXIX Domenica del Tempo Ordinario – Anno C
«Bisogna sempre pregare e non smettere mai di farlo», e tu lo dimostri qui, mio Dio, con la parabola del giudice disonesto… Come sei buono, mio Dio, a ordinarci di avere questa fede nella Tua bontà, questa fiducia che esaudirai sempre le nostre preghiere, purché siano ferventi, costanti, fiduciose, umili, e soprattutto quando sono fatte per di più nel Tuo Nome. È ordinarci di credere che ci ami al punto da non poterci rifiutare niente (di ciò che è buono, beninteso)… Com’è dolce questo! Quale comandamento di una dolcezza celeste! Comandarci di credere che ci ami al punto da non rifiutarci mai niente, quale suono divino hanno queste parole! Quale dolcezza celeste! Quale soavità per le nostre orecchie! O Dio d’amore! O Dio del mio cuore, «quanto sono mirabili le tue invenzioni!»… Vi comando di credere che vi amo al punto da non rifiutarvi mai nessuna richiesta veramente buona. O melodia divina! Mio Dio come sei buono! Deus Charitas est.
Chiediamo, chiediamo, temiamo di incorrere nel rimprovero fatto agli apostoli: «Non avete ancora chiesto. Chiedete!… Chiedete nel mio nome!»[1]… Chiediamo, poiché le nostre richieste hanno tanto potere per la manifestazione della gloria di Dio e il bene degli uomini, suoi figli beneamati.
Mio Dio, fammi la grazia di chiederti tutto quello che vuoi che Ti chieda e di chiedertelo con fede, umiltà, fervore, costanza, carità per tutti gli uomini, e nel tuo nome.[2]
[1] Cfr. Gv 16,24.
[2] M/394, su Lc 18,1-8, in C. de Foucauld, Cerco i miei amici tra i piccoli. Meditazioni sul Vangelo secondo Luca, Centro Ambrosiano, Milano 2024, 246-247.