V domenica di Pasqua – Anno C
«Vi do un comandamento nuovo: amarvi gli uni gli altri, come io vi ho amato; amarvi così gli uni gli altri. È da questo che si riconoscerà che siete miei discepoli, se vi amate gli uni gli altri…».
Come sei buono, mio Dio, più la tua fine si avvicina, più raddoppi in tenerezza!… Sembra che in questi ultimi momenti tu voglia attirare tutti a te non solo con il sacrificio supremo della tua croce, non solo con il dono supremo della Santa Eucaristia, ma addirittura con la tenerezza suprema delle tue ultime parole… «figlioli miei» filioli[1]… «amici miei»… «il discepolo che Gesù amava» appoggiato sul suo Cuore, quale scena di tenerezza infinita che precede solo di un’ora gli orrori del Getsemani!… Più che mai hai a cuore «di accendere sulla terra», che stai per lasciare, il fuoco dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo… è ciò a cui tende quest’ultimo discorso come tutti gli altri… Ci attiri al Tuo amore sia con il dono di tutto Te stesso che ci hai appena fatto nella Santa Eucaristia, sia con la tenerezza infinita delle tue ultime conversazioni, sia con l’appello all’obbedienza a Dio tante volte ripetuto in questo discorso dopo la cena, sia con l’appello alla tua imitazione che esso pure contiene, sia con l’appello che ci rivolgi al sacrificio, mostrandoci che è così che glorifichi in modo particolare Tuo Padre, e di conseguenza che anche noi glorificheremo Dio: «Ora il Figlio dell’uomo è glorificato, e Dio è glorificato in Lui» esclama nel momento in cui Giuda esce per consegnarLo…
Ci attiri all’amore del prossimo, sia con il tuo esempio, tu che ci mostri che ami tanto gli uomini da donare e consegnare a ciascuno di loro, in modo esclusivo, il Tuo corpo e la Tua anima interamente per riceverli nel loro corpo, sia con le tue parole, tu che non smetti di ripeterci in questo ultimo discorso «amatevi gli uni gli altri… amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato… fino a dare la vostra vita per il vostro prossimo, come sto per fare io stesso… è da questo che si riconoscerà che siete miei discepoli». Non solo ci ripeti e ci ripeti queste parole, ma le dici con una solennità che non dai forse a nessun’altra: «Ecco che vi do un comandamento nuovo», è come se stabilissi in questa notte suprema il comandamento che distingue il Nuovo Testamento: «è da questo che si riconoscerà che siete miei discepoli». È come il tuo testamento, è la tua raccomandazione suprema: è un nuovo comandamento, non nuovo nella sostanza, ma nuovo per l’insistenza con la quale lo raccomandi, nuovo per l’estensione che gli dai «amare gli uomini come tu li hai amati», nuovo per l’importanza che gli dai «si riconoscerà da questo che siete miei discepoli», nuovo per la solennità con cui lo stabilisci, facendo di esso il tuo testamento supremo, l’espressione della Tua ultima raccomandazione, in questa notte funebre.
Amiamo Dio che ci ama fino a donarsi, affidarsi, consegnarsi, abbandonarsi a noi totalmente, donandoci il suo corpo e la sua anima per possederli pienamente, unirli al nostro corpo e alla nostra anima, averli in noi come un possesso perfetto… Amiamo Dio che ci ama fino a versare per noi il suo sangue al Getsemani, sulla via dolorosa, al pretorio, al Calvario, e fino a soffrire tanto nella sua anima e nel suo corpo… che ci ama fino a dircelo e dichiararcelo con termini di una dolcezza infinita… che ci ama fino a dimenticarsi tanto di Sé stesso persino in queste ore estreme e a consacrarle interamente alla santificazione e alla consolazione delle nostre anime.
Amiamo il prossimo poiché Dio lo ama a tal punto da dirci che è dall’amore che avremo per lui, che si riconoscerà che siamo Suoi discepoli… amiamolo per obbedienza al comandamento così solenne e così insistente che ci dona… amiamolo poiché è il testamento supremo, la raccomandazione suprema che ci fa il nostro Beneamato alla vigilia della Sua morte… amiamolo poiché ogni uomo è figlio beneamato di Dio, al quale Dio si offre nella Santa Comunione, al quale si offre nel cielo chiamandolo, per il quale Dio versa il suo sangue sul Calvario, del quale Dio dice che «tutto ciò che si fa a lui, lo si fa a Lui stesso» (Mt 25), che costituisce «una delle membra del suo Corpo»[2] e in questo modo qualche cosa di Lui stesso.[3]
[1] «Figlioli».
[2] Cfr. 1Cor 12.
[3] M/482, su Gv 13,21-35, in C. de Foucauld, Stabilirci nell’amore di Dio. Meditazioni sul Vangelo secondo Giovanni, Centro Ambrosiano, Milano 2025, 132-134.