XVII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C
«Padre, santifica il tuo nome. Venga il tuo regno. Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Perdona i nostri peccati come noi rimettiamo agli altri tutto ciò che ci devono. E non lasciarci cadere in tentazione»…
Come sei buono, mio Dio, a condurci fino a questo punto, a mostrarci fino a questo punto tutto ciò che occorre che pensiamo, diciamo, facciamo… Qui, dopo averci raccomandato di pregare, averci detto che la nostra preghiera fatta con fede e umiltà sarebbe sempre stata esaudita, soprattutto se chiediamo nel Tuo Nome… dopo questo ti degni addirittura di dirci quello che occorre che chiediamo al Padre tuo… E quello che ci dici di chiedere, è il più grande dei beni per noi e allo stesso tempo la gloria del Padre tuo… Se amiamo Dio, qual è il nostro bene se non la sua gloria? L’anima che ama vive non in sé stessa, ma in ciò che ama… Il bene di colui che ama non è a proprio favore ma a favore dell’essere amato… Il nostro bene non è affatto il nostro interesse, ma il tuo, o Dio dei nostri Cuori!…
Padre, santifica il tuo nome, il tuo nome sia glorificato da tutti gli uomini, nella misura della tua volontà… Venga il tuo regno, è la ripetizione della stessa richiesta: che tu regni in tutte le anime, nella misura della tua volontà… Dacci oggi il nostro pane quotidiano, è ancora la stessa richiesta: dacci oggi, ogni giorno, uno dopo l’altro, ciò di cui abbiamo bisogno, il pane della grazia, il pane della santa Eucaristia, questo pane che era il «tuo nutrimento» e che consiste nel fare sempre la volontà di Dio (quanto al pane materiale, non si tratta di questo, poiché ci dici altrove: «cercate il regno di Dio, e il resto vi sarà dato in sovrappiù»[1]… Lo riceviamo senza chiederlo, come un servo, un figlio lo riceve da suo padre senza chiederlo, purché compia i suoi doveri… Sarebbe persino sconveniente se un servo si prostrasse più volte ai piedi di un buon padrone che gli ha promesso di non fargli mancare niente, purché egli cerchi unicamente di fare bene il suo servizio, supplicandolo di dargli almeno un pezzo di pane e di non lasciarlo morire di fame. Dopo le parole di Gesù: «Il resto vi sarà dato in sovrappiù», faremmo come questo servo chiedendo a Dio il pane materiale); chiedere il pane quotidiano è quindi ancora la stessa cosa delle prime richieste, tutte riportano a questa: «Che tu sia glorificato da tutti gli uomini nella misura della tua volontà!»… Perdona i nostri peccati come noi rimettiamo ai nostri debitori, questo è il grido «perdono!» che sfugge a ogni labbro umano: «Parce, Domine, parce, populo tuo!»[2], «De profundis clamavi ad te, Domine!»[3]. Quante sozzure in questi poveri uomini e che labbra impure aprono verso questo Dio che vede macchie nei cherubini… Così non possono rivolgersi a Lui senza aggiungere ad ogni preghiera il grido di perdono; come non possono essere rischiarati dalla sua luce, senza essere schiacciati dalla vista delle proprie sozzure. Perdono! Mio Dio… E per essere perdonati, obbediamo e perdoniamo, rimettiamo ogni debito per obbedire, perdoniamo per obbedire e per non essere indegni del perdono… Non lasciarci cadere in tentazione, è il grido «aiuto!» che lancia anche ogni essere umano in ogni momento in questo doloroso combattimento della vita… Assalito senza sosta dai demoni, dal mondo, dalla natura corrotta, venendo meno in questa lotta senza tregua, ferito e straziato in ogni momento, trovando in sé solo debolezza, l’uomo non ha altro mezzo di vittoria che la sola forza di Dio; ad ogni ora, in ogni momento bisogna che Gli gridi: «Aiuto!»…
È dunque in questo che si riassume questa divina preghiera: «Padre beneamato, che tu sia glorificato da tutti gli uomini nella misura della tua volontà! Perdono per le colpe di tutti gli uomini. Soccorri tutti gli uomini!»… Le ultime due richieste rientrano esse stesse nella prima, perché una torna a chiedere la purificazione, l’altra l’aiuto necessario per glorificare Dio… Così chiedendo soltanto: «Che tu sia glorificato nella misura della tua volontà», chiediamo tutto, tutto, tutto… Tuttavia bisogna anche aggiungere sempre «perdono!», se non come domanda, per lo meno come soddisfazione[4], come espiazione, come sacrificio di penitenza…[5]
[1] Cfr. Lc 12,31; Mt 6,33.
[2] «Abbi pietà, Signore, abbi pietà del tuo popolo». Si tratta di un’antifona gregoriana il cui testo si ispira al versetto biblico del profeta Gioele (2,17). Al tempo di Charles de Foucauld era utilizzata in Quaresima.
[3] «Dal profondo gridavo a te, Signore!», cfr. Sal 130(129),1.
[4] Charles de Foucauld fa riferimento al concetto di soddisfazione vicaria. Si tratta di un’interpretazione del mistero della redenzione introdotta nella riflessione teologica da sant’Anselmo d’Aosta e ripresa da san Tommaso d’Aquino. Anselmo parla del concetto di soddisfazione come riparazione dell’ordine naturale rovinato dalla colpa. A questa riparazione compiuta da Gesù con la sua morte e risurrezione può contribuire anche ogni persona con la penitenza, cooperando così alla salvezza del prossimo e ricevendo la grazia divina.
[5] M/345, su Lc 11,1-4 in C. de Foucauld, Cerco i miei amici tra i piccoli. Meditazioni sul Vangelo secondo Luca, Centro Ambrosiano, Milano 2024, 178-181.