Discepole del Vangelo

Commento di Charles al Vangelo di domenica 25 maggio – Gv 14,23-29

VI domenica di Pasqua – Anno C

«Vi lascio la mia pace… Il vostro cuore non si turbi e non tema».

Mio Dio, come sei buono! Cosa ci lasci? Qual è questo dono supremo? La pace… Sei il Dio di pace, i profeti lo avevano predetto… Quando appari tra i tuoi discepoli, dici loro: «La pace sia con voi»; al momento di morire dici loro: «Vi lascio la pace, la mia pace, non quella che dà il mondo»… Che cos’è dunque questa pace diversa da quella che dà il mondo… Questa pace è quella che dà il tuo amore; la pace del mondo è la pace dell’essere dispensati dalle sofferenze, dell’essere dispensati dalle inimicizie, dalle persecuzioni, dalle tribolazioni: la tua pace è l’indifferenza alle sofferenze, alle inimicizie, alle persecuzioni, alle tribolazioni, a tutti i mali sensibili, è la pace profonda e sovrabbondante che prova l’anima che ti ama in mezzo a tutti questi mali; «ebbra del tuo amore, non sente nessuna delle croci interiori, né esteriori, come l’uomo ubriaco di vino non sente i colpi», dice San Bonaventura; «non vivendo più in sé stessa, ma avendo tutta la sua vita in te solo, suo Beneamato», come dice San Giovanni della Croce, essa non sente i colpi che la raggiungono e gode deliziosamente della pace ineffabile nella quale regni… Tu che «sei venuto a portare il fuoco sulla terra» e il cui unico desiderio era di vederlo infiammarsi, «Cosa voglio, se non che si accenda?», il tuo dono supremo, è questo stesso fuoco e i suoi effetti, è l’amore di Dio e la pace suprema che produce questo amore, la pace superiore alle sofferenze, non la pace senza la guerra, ma la pace nonostante la guerra, nella guerra, al di sopra della guerra, la pace dell’anima che, attraverso l’amore, ha la sua vita interamente nel cielo, e che gode così della pace del cielo nonostante tutto quello che può accadere sulla terra, attorno ad essa o contro di essa.

Entriamo nella pace entrando nell’amore di Dio: l’uno e l’altro sono indissolubilmente legati, la pace è l’effetto e il segno dell’amore divino: cerchiamoli, desideriamoli entrambi, la pace in vista dell’amore, e l’amore in vista di Dio… «Non viviamo più in noi, ma solo nel nostro Beneamato» e allora niente di quello che ci colpisce sarà sentito da noi, e tutto quello che è il destino del nostro Beneamato sarà il nostro: non sentiremo più nessuna delle tribolazioni terrene, perché non vivremo in noi e la felicità di cui gode eternamente il nostro Beneamato ci metterà in una pace, in una soddisfazione inalterabile… Quando ameremo Dio così, «non vivendo più in noi ma in Lui», il nostro cuore non si turberà più e non temerà più, perché non ci occuperemo più di noi stessi, ma di lui solo: le tribolazioni piovano su di noi, che ci importa, Lui è felice!…

Il quarto grado dell’amore divino, dice San Bonaventura (Incendio dell’amore) «è l’ebbrezza spirituale.Ora questa ebbrezza consiste nel fatto che si ama Dio di un così grande amore, che non soltanto già si disprezza la consolazione terrena, ma addirittura per amore di Dio, si trovano grazie, con l’apostolo, solo nelle pene, negli obbrobri e nei tormenti; come si vede un uomo ubriaco spogliarsi senza pudore, e sopportare i colpi senza dolore…

Il quinto grado è la sicurezza che nasce dall’ebbrezza. Per il fatto che l’anima, a questo grado, soffre volentieri per Dio tutto, ogni danno e ogni obbrobrio, essa bandisce il timore e concepisce una così grande speranza nell’aiuto di Dio, che pensa che niente potrà separarla da Lui… Il sesto (e ultimo) grado è la vera e piena tranquillità, nella quale l’anima gusta una pace così profonda che sembra addormentata… Poiché, chi può inquietare un’anima che nessun desiderio inquieta e che nessun timore agita? In questa anima c’è la pace suprema».[1]


[1] M/489, su Gv 14,24-27, in C. de Foucauld, Stabilirci nell’amore di Dio. Meditazioni sul Vangelo secondo Giovanni, Centro Ambrosiano, Milano 2025, 146-148.